FABRIZIO CONTIN
Dottore Commercialista & Revisore Legale
Premessa
Chi si accinge a redigere testamento non ha l’assoluta libertà di determinare la sistemazione del proprio asse patrimoniale dopo la morte, in quanto la legge riserva al coniuge del defunto, ai suoi figli e ai loro discendenti, nonché ai suoi ascendenti, una rilevante quota che il de cuius alla sua scomparsa deve necessariamente assegnare loro.
Ci riferiamo alla quota di “legittima” del patrimonio del defunto che necessariamente va lasciata agli stretti congiunti, vale a dire gli “eredi necessari” o “legittimari”.
Essa si calcola sommando il valore dei beni che fanno parte del patrimonio di un soggetto al momento della morte (asse ereditario), con il valore dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione diretta in vita.
I legittimari sono il coniuge, i figli discendenti dei figli (se mancano i figli, ad esempio perché preceduti) e gli ascendenti (se mancano discendenti).
Il testatore, invece, ha assoluta libertà di disporre dei propri beni solo quando alla sua morte egli non lasci coniuge, figli o discendenti. In caso contrario, il testatore deve attribuire a costoro almeno le quote di eredità che il Codice civile riserva in nome dello stretto vincolo familiare che lega il “de cuius” stesso ai suoi stretti congiunti (Allegati).
I PATTI DI FAMIGLIA
La Legge n. 55 del 14 febbraio 2006, entrata in vigore il 16 marzo 2006 ha introdotto nel Codice Civile (Artt. 768 bis – 768 octies) una nuova fattispecie contrattuale assimilabile alla donazione modale. Non risulta più vietato stipulare patti ereditari aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di un’azienda o partecipazioni al capitale di società familiari. Tali patti consentono, pertanto, la trasmissione stabile e duratura ai soli discendenti delle attività economiche appartenenti all’imprenditore.
Nell’articolo 458 c.c. disciplinante il “Divieto dei patti successori”, è stata a tal fine aggiunta una deroga che richiama i “patti di famiglia”. Di seguito viene proposto il confronto tra il vecchio ed il nuovo testo del succitato articolo:
- Art 458 C.C. Divieto di patti successori VECCHIO TESTO
"È nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione.
È al pari nullo il Patto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi."
- Art 458 C.C. Divieto di patti successori NUOVO TESTO
"Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione.
È al pari nullo il Patto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi."
Il nuovo Patto successorio costituisce una deroga al principio generale di divieto di patti successori (art.458 c.c.), ossia delle pattuizioni dispositive della propria successione o dei diritti che possono spettare su una successione non ancora aperta. Incide sui diritti di legittima dei partecipanti, precludendo possibili azioni di riduzione o obblighi di conferimento a titolo di collazione. Il Patto può essere impugnato solo per errore, violenza e dolo (i c.d. vizi della volontà) e la relativa azione si prescrive nel termine di un anno. L’impugnazione deve essere promossa preliminarmente presso uno degli organismi di conciliazione stragiudiziale.
Definizione di patto successorio
Il “Patto successorio” può definirsi un contratto inter vivos, con effetti traslativi immediati, con cui:
• l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda;
• il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote,
ad uno o più discendenti.
Come “compensazione”, gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni, hanno l’obbligo per legge di liquidare gli altri partecipanti legittimari al contratto, con il pagamento di una somma corrispondente al valore che avrebbe la loro quota di legittima se in quel momento si aprisse la successione (artt. 536 ss. c.c.), salvo che questi non vi rinunzino in tutto o in parte.
Il valore della quota viene quindi determinato al momento della stipula del Patto ed i contraenti possono inoltre convenire che la liquidazione avvenga, in tutto o in parte, in natura.
La forma di redazione del Patto deve avvenire per atto pubblico, a pena di nullità alla presenza di testimoni.
I soggetti coinvolti
• Il disponente: è titolare di un impresa individuale o di un pacchetto di partecipazioni di controllo al capitale sociale dell’azienda di famiglia. La norma è chiara al riguardo e quindi risulterà escluso il professionista che intenda lasciare il proprio studio professionale al figlio o discendente.
• I beneficiari: sono discendenti del disponente (figli ma anche nipoti). Sono esclusi invece i fratelli.
• I partecipanti necessari al patto: sono il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione (ossia ascendenti, figli legittimi, naturali o adottivi o loro discendenti).
I VANTAGGI DERIVANTI DAL PATTO
Questo nuovo strumento giuridico è indubbiamente più flessibile rispetto al testamento e alla donazione in quanto consente di pianificare fin da subito il trasferimento del patrimonio aziendale nell’interesse dell’impresa. Il Patto può essere sciolto o modificato per accordo unanime tra le parti coinvolte garantendo così l’uscita ai soggetti che l’hanno stipulato e non è soggetto, a differenza della donazione, all’azione di riduzione e alla collazione, che in estrema sintesi consentono ai legittimari del defunto di impugnare la lesione della loro quota.
I PRINCIPALI DUBBI INTERPRETATIVI
Non tutto ad oggi è stato risolto sotto il profilo dei dubbi.
Con l’adozione del Patto abbiamo quindi che “l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.
Dalla semplice lettura della norma non si distingue, con l’espressione “titolare di partecipazioni”, tra titolarità di azioni/quote della società di famiglia e la titolarità delle partecipazioni in altre società.
Al Patto “devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore” (art. 768-quater).
Non è chiaro se sia necessario l’intervento nel Patto di tutti i legittimari o se questi possono intervenire anche in più fasi. Così come non è stato definito cosa esattamente si intende per “patrimonio dell’imprenditore”, dato che la norma in questione riguarda la trasmissione dell’azienda familiare, ma potrebbe anche riguardare la trasmissione di partecipazioni, e non è sempre scontato che chi trasmette partecipazioni sia anche un imprenditore.
Attraverso la sottoscrizione del Patto si deve provvedere a compensare, a meno che non vi rinuncino, i legittimari diversi da quelli che ottengono la trasmissione dell’azienda o delle partecipazioni . Questi ultimi, pertanto, dovranno corrispondere ai primi una somma di valore pari a quello della quota di legittima loro spettante, a meno che non sia prevista a loro favore un’attribuzione in “natura”. Il reperimento della liquidità necessaria al beneficiario per il pagamento delle liquidazioni agli altri legittimari può avvenire, come nell’esempio presentato più avanti, attraverso un’operazione di leva finanziaria – family buy out.
Non risulta ancora precisato a livello giuridico se sia possibile la liquidazione degli altri legittimari direttamente od indirettamente da parte dello stesso disponente. A favore di tale tesi si sta schierando la dottrina maggioritaria.
I PUNTI DI DEBOLEZZA DEI PATTI
Se all’apertura della successione dell’imprenditore ci sono soggetti che non hanno partecipato al Patto di famiglia, costoro possono chiedere ai beneficiari del Patto il pagamento di una somma pari al valore della quota di legittima loro spettante maggiorata degli interessi.
La norma stabilisce che, in caso di “inosservanza delle disposizioni” sulla richiesta di pagamento da parte del legittimari sopravvenuti, si verifica una causa di annullamento del Patto di famiglia non prevedendo un termine preciso di definitiva chiusura del Patto che rimane quindi condizionato sine die dalla presenza di possibili eredi sopravvenuti.
I partecipanti al Patto possono recedere dallo stesso solo qualora tale rimedio sia espressamente previsto contrattualmente prevedendo le precise modalità di esercizio del recesso, che deve essere attuato attraverso una dichiarazione degli altri contraenti certificata da un notaio, potendo ipotizzare che l’esercizio del recesso determini la caducazione dell’intero Patto in relazione a tutti i contraenti, con effetti attualmente difficilmente prevedibili, se non l’assoggettabilità a riduzione e collazione dei beni coinvolti nel trasferimento e delle somme o beni oggetto di liquidazione.
Il Patto può anche essere risolto per mutuo consenso secondo il disposto dell’art. 1372, comma 2, del Codice civile. In merito si osserva come, stante la natura contrattuale dell’atto e il principio di autonomia contrattuale accolto nell’ordinamento giuridico, non ci sarebbe alcuna motivazione volta ad impedire ai contraenti del Patto di famiglia, previo loro unanime consenso, di sciogliersi dal vincolo patrizio.
ESEMPIO DI APPLICAZIONE DEL PATTO SUCCESSORIO CON UTILIZZO DELLA LEVA FINANZIARIA
Mario, è proprietario al 100% del capitale della società ZETA S.p.a.
Vedovo, con due figli, intende trasferire l’azienda con un Patto di famiglia, al figlio Paolo, ritenuto più idoneo alla guida dell’impresa, con l’obbligo per quest’ultimo di corrispondere al fratello Luca, non interessato all’azienda, una somma corrispondente alla metà di quanto ricevuto. Mario nomina un perito con il compito di stabilire il valore dell’azienda e dalla perizia risulta che il valore dell’azienda è di un milione di euro (Il valore può essere anche preconcordato tra i partecipanti al Patto). Paolo riceve pertanto il 100% delle partecipazioni nella ZETA S.p.a. per un valore di un milione di euro ed è obbligato dal Patto di famiglia a corrispondere al fratello Luca la somma in denaro di 500.000 euro o, in alternativa, assegnargli beni in natura (provenienti dal patrimonio aziendale o personale) per la stesso importo.
Il soggetto beneficiario Paolo può utilizzare la leva finanziaria in due modi:
1. l’istituto di credito finanzia Paolo, persona fisica, e gli concede un mutuo di € 500.000 garantito da iscrizione di ipoteca sui beni personali o da pegno sulle quote di partecipazione nella società Zeta S.p.a.. Paolo liquiderà quanto dovuto al fratello Luca e rimborserà le rate del mutuo, se non possiede altri redditi, con gli utili percepiti dalla Zeta S.p.a. e/o con i compensi derivanti dall’attività di amministratore della medesima società, se previsti;
2. la banca eroga un finanziamento di € 500.000 alla società Zeta S.p.a., di cui Paolo è divenuto unico socio e amministratore, con iscrizione di ipoteca sui beni aziendali. In tale ipotesi Paolo liquiderà quanto dovuto al fratello Luca ed il rimborso delle rate del mutuo saranno garantite dai normali flussi aziendali.