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30 Giugno 2023 - Fondo patrimoniale e Trust - Aspetti generali ed effetti patrimoniali
FABRIZIO CONTIN
Dottore Commercialista & Revisore Legale
Introdotto nel nostro ordinamento a decorrere dall’anno 1992, l’istituto del Trust sembra aver suscitato interesse negli operatori soltanto negli ultimi anni. Pur contraddistinto da rilevanti peculiarità, legate anche alle sue origini estranee all’ordinamento di civil law ed all’assenza di una specifica normativa interna, esso presenta punti di contatto con alcuni istituti ben noti del diritto del nostro Paese, tra cui in particolare il Fondo patrimoniale.
Nel prosieguo, richiamata la disciplina del Fondo patrimoniale e del Trust, si approfondirà in particolare l’effetto di “segregazione patrimoniale” che accomuna i due istituti, con alcune considerazioni finali sul loro impiego nell’ambito del patrimonio familiare

1. IL FONDO PATRIMONIALE

Istituto nato nel 1975 (L. 151/1975 di riforma della disciplina del rapporto tra coniugi), il Fondo patrimoniale è regolato dagli articoli dal 167 al 171 del Codice civile.
La sua istituzione determina la destinazione di un complesso di beni al soddisfacimento dei bisogni e degli interessi della famiglia.

1.1 La costituzione del Fondo patrimoniale

Ai sensi dell’art. 167 Cod. Civ., i soggetti legittimati alla costituzione del Fondo patrimoniale sono:
  • ciascun coniuge (la giurisprudenza in tale ipotesi sembra ritenere necessaria l’accettazione dell’altro coniuge[1]);
  • entrambi i coniugi, mediante atto tra vivi;
  • un soggetto terzo, mediante un atto tra vivi o con atto testamentario. Il perfezionamento si ha in questo caso con l’accettazione di entrambi i coniugi.
E’ possibile che l’atto costitutivo del Fondo preveda la conservazione in capo al disponente della nuda proprietà dei beni del Fondo (art. 168, co. 1 Cod. Civ.). In questo caso, i frutti del bene sono destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
La costituzione con atto tra vivi deve assumere la forma di atto pubblico. La costituzione per testamento segue invece le forme previste per quest’ultimo.
La pubblicità dell’atto costitutivo del Fondo patrimoniale avviene mediante:
  • annotazione a margine dell’atto di matrimonio di cui all’art. 162 c.c. (al fine dell’opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione);
  • trascrizione nei registri immobiliari ai sensi degli artt. 2647 e 2685 c.c. (è dubbio in dottrina se la trascrizione abbia valore di pubblicità notizia ovvero se produca effetto ai fini dell’opponibilità del vincolo ai terzi; per la prima soluzione, Cass. Sez. Unite 13.10.2009 n. 21658).
1.2 Le finalità del Fondo patrimoniale

Le finalità che il legislatore ha assegnato all’istituto sono, come detto, legate al soddisfacimento dei “bisogni della famiglia”.
Va anzitutto chiarito che per “famiglia” deve intendersi quella legittima che deriva dal matrimonio, costituita dai genitori e dai figli (minorenni o maggiorenni con diritto al mantenimento). Non è al contrario ammissibile, ai fini istitutivi del Fondo patrimoniale, la convivenza more uxorio.
La dottrina si è interrogata sulla corretta individuazione dei confini che delimitano il concetto di “bisogni della famiglia”, con interpretazioni che assumono varie sfumature. La giurisprudenza sembra aver interpretato tale concetto in un’accezione ampia, tale da abbracciare non solo le esigenze “indispensabili” alla vita della famiglia, ma anche quelle che ne consentono uno sviluppo all’interno della società e che, in generale, non abbiano natura voluttuaria né siano mosse da intenti speculativi (Cass. 7.01.1984 n. 134 e Cass. 18.09.2001 n. 11683).

1.3 Beni destinabili al Fondo patrimoniale e amministrazione

L’art. 167 Cod. Civ. specifica quali sono i beni che possono costituire il Fondo patrimoniale. Più in particolare, possono essere destinati al Fondo:
  • i beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri;
  • i titoli di credito, qualora nominativi e, in ogni caso, con idonea apposizione del vincolo (in dottrina si riscontrano interpretazioni difformi relativamente alle partecipazioni societarie).
Possono essere destinati al Fondo patrimoniale anche diritti reali di godimento.

Nella scelta del legislatore traspare la necessità di garantire la conoscibilità del vincolo di destinazione con l’individuazione dei soli beni per i quali è previsto uno specifico regime di pubblicità.
L’amministrazione dei beni del Fondo spetta inderogabilmente ad entrambi coniugi, secondo le norme della comunione legale (art. 168, co. 3 Cod. Civ.)[2].  In generale, ai sensi dell’art. 180 Cod. Civ. essa viene esercitata:
  • disgiuntamente per il compimento di atti di ordinaria amministrazione;
  • congiuntamente per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
L’art. 169 Cod. Civ. dispone poi che, salvo diversa previsione dell’atto di costituzione del Fondo, i beni ad esso destinati non possono essere alienati, concessi in pegno o gravati da ipoteca se non con l’assenso di entrambi i coniugi. Qualora vi siano figli minori, è inoltre necessaria l’autorizzazione giudiziale, “concessa … nei soli casi di necessità od utilità evidente”. Gli atti posti in essere in violazione dell’art. 169 Cod. Civ. sono affetti da nullità.
Come detto, la norma consente tuttavia di derogare nell’atto istitutivo ai rigidi vincoli sopra indicati, consentendo così di fatto ai coniugi una significativa discrezionalità nell’amministrazione dei beni del Fondo[3]. Nell’ipotesi di deroga, la violazione delle norme sull’amministrazione comporta, in generale:
  • l’esclusione dall’amministrazione, disposta dal giudice nei confronti del coniuge accusato di mala gestio da parte dell’altro coniuge (art. 183 Cod. Civ.) [4];
  • l’annullabilità dell’atto (art. 184 Cod. Civ.)
 1.4 La cessazione del Fondo

L’art. 171 Cod. Civ. individua quali cause della cessazione del Fondo:
  • l’annullamento o nullità del matrimonio, ai sensi dell’art. 117 Cod. Civ.;
  • lo scioglimento del matrimonio, di cui all’art. 149 Cod. Civ., per morte di uno dei due coniugi;
  • la cessazione degli effetti civili del matrimonio, disciplinata dalla L. 898/70 e successive modificazioni
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono tuttavia che il dettato dell’art. 171 Cod. Civ. non sia tassativo. Vi possono dunque essere altre cause di cessazione, tra cui:
  • la scelta consensuale dei coniugi (la giurisprudenza sembra infatti ritenere applicabile l’art. 163 Cod. Civ. riguardo la modifica delle convenzioni matrimoniali);
  • le altre cause, compatibili con l’istituto, contemplate dall’art. 191 Cod. Civ., che determinano lo scioglimento della comunione (ad eccezione, secondo la dottrina prevalente, dell’assenza e del fallimento di uno dei coniugi).
Si rammenta, da ultimo, che il co. 2 dell’art. 171 Cod. Civ. dispone che, in presenza di figli minori, il Fondo duri fino al raggiungimento della maggiore età di tutti i figli (prevedendo la possibilità di un intervento giudiziale qualora necessario al fine di salvaguardare gli interessi dei figli).

2. TRUST

Il Trust è un istituto che determina l’affidamento di un patrimonio ad un soggetto (denominato Trustee) sulla base di un atto di disposizione da parte di un altro soggetto (disponente o settlor) posto in essere per il raggiungimento di determinati scopi (Trust di scopo), ovvero a beneficio di uno o più soggetti terzi (Trust a favore di beneficiario).
In assenza di una specifica normativa interna, ad oggi la sua fonte normativa è costituita dalla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 (nel seguito, Convenzione), ratificata dal nostro Paese con la L. 364/89[5].

2.1 L’istituzione del Trust in Italia

L’assenza di una disciplina interna ha indubbiamente “frenato” lo sviluppo del Trust. Nonostante l’iniziale “diffidenza” dimostrata per un istituto mutuato dall’ordinamento di common law, autorevole dottrina[6] e la stessa giurisprudenza sembrano aver definitivamente fugato ogni dubbio sulla possibilità di istituire un Trust interno[7].
Oltre al riconoscimento dei trusts esterni (art. 11 della Convenzione), è stato in altri termini sancito il pieno riconoscimento di un trust i cui elementi soggettivi ed oggettivi essenziali siano riconducili al nostro Paese.
La stessa Convenzione (art. 13) attribuisce al giudice interno la facoltà di disconoscere l’istituto qualora, sulla base di una valutazione di merito, esso sia ritenuto contrario all’ordinamento del nostro Paese (Tribunale di Firenze, Sent. 02.07.2005).
L’assenza di una disciplina interna determina la necessità, da parte del disponente, di individuare la legge straniera applicabile al Trust (art. 6 della Convenzione). In assenza di una espressa volontà, l’art. 7 individua il criterio sussidiario del “collegamento più stretto” ai fini della scelta della legge applicabile. Ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, quest’ultima deve disciplinare in particolare:
  • i. la nomina, le dimissioni, la revoca del Trustee;
  • ii. i doveri, i diritti e le modalità di gestione e amministrazione del patrimonio da parte del Trustee, nonché gli obblighi di rendicontazione;
  • iii. i rapporti tra Trustee e beneficiari;
  • iv. la modifica o la cessazione del Trust;
  • v. la ripartizione dei beni del Trust.
  • Quanto alla forma, la Convenzione (cap. I, art. 3) richiede che il Trust debba essere istituito in forma scritta. Sembra altresì consolidata in dottrina ed in giurisprudenza l’ammissibilità della trascrizione nei pubblici registri del Trust[8] (cap. III, art. 12 Convenzione).

    2.2 Le caratteristiche principali del Trust

    Le caratteristiche principali del Trust (che lo differenziano in maniera sostanziale dall’istituto del Fondo patrimoniale), si possono così riassumere:
    • applicabilità negli ambiti e contesti più vari[9] (per il Fondo patrimoniale, l’ambito “esclusivo” è la famiglia nascente dal matrimonio);
    • le finalità perseguite mediante questo istituto possono essere le più diverse, mancando in tal senso uno specifico obiettivo imposto dalla legge (diversamente, unico scopo del Fondo patrimoniale è il soddisfacimento dei “bisogni della famiglia”);
    • il disponente è libero nell’individuazione del soggetto beneficiario[10] (al contrario, il Fondo patrimoniale, prevede quale “beneficiario naturale” il nucleo familiare);
    • non vi sono limitazioni in ordine ai beni trasferibili al Trust (il Fondo patrimoniale ammette invece soltanto i beni immobili, mobili registrati o titoli di credito);
    • non vi sono vincoli quanto alla durata (il Fondo patrimoniale è invece legato alla durata del vincolo matrimoniale);
    • è possibile, più in generale, regolare i molteplici aspetti del suo funzionamento.
    Per quanto fin qui argomentato, risulta immediato constatare come l’istituto del Trust sia caratterizzato da confini più sfumati (si potrebbe dire indefiniti), rispetto all’istituto del Fondo patrimoniale. Ciò, lungi dall’essere un “punto di debolezza” del primo istituto rispetto al secondo, ne conferisce una grande duttilità e pone le premesse di un suo impiego sempre maggiore.

    2.3 La disciplina fiscale del trust

    La Legge 296/2006 (Finanziaria per il 2007) ha per la prima volta regolamentato specificatamente la fiscalità diretta del trust[11], cui ha fatto seguito la Circolare n. 48/E del 6 agosto 2007, con la quale l’Amministrazione finanziaria ha fornito importanti chiarimenti[12].
    In particolare, ai sensi del primo comma dell’art. 73 del Tuir sono soggetti all’imposta sul reddito delle società:

    • i trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti commerciali);
    • i trust residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti non commerciali);
    • i trust non residenti, per i redditi prodotti nel territorio dello Stato (enti non residenti).
     
    Ai fini della imposizione, il secondo comma dell’articolo 73 del Tuir individua due tipologie di trust (a seconda che i beneficiari siano o meno puntualmente individuati), per ognuna delle quali è stabilita una differente modalità di tassazione del reddito.

    TUIR - ART. 74, COMMA 2, ULTIMO PERIODO
    Trusts con beneficiari di reddito individuati cd. “trusts trasparenti” Trusts senza beneficiari di reddito individuati cd. “trusts opachi” per essi, i redditi prodotti vengono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi (indipendentemente dall’effettiva percezione)[13], in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di disposizione, in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali. i redditi prodotti vengono tassati direttamente in capo al trust. Questa tassazione esaurisce l’obbligazione tributaria in via definitiva, non essendo soggetti ad imposta eventuali successive distribuzioni ai beneficiari (art. 163 del TUIR)

    È tuttavia possibile che un trust sia contemporaneamente opaco e trasparente. La C.M. 48/E chiarisce infatti che, nel caso in cui ad esempio sia stabilito che parte del reddito prodotto sia accantonata a capitale e parte sia distribuita a soggetti beneficiari:
    • il reddito accantonato sarà tassato in capo al trust (in quanto espressione di capacità contributiva non “attuale”);
    • il reddito destinato ai beneficiari sarà a questi imputato per trasparenza.
    È fatto salvo lo specifico trattamento fiscale disposto per taluni redditi di natura finanziaria, soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Sono ad esempio soggetti a ritenuta d’imposta i redditi delle obbligazioni e titoli similari indicati nell’articolo 26, co. 1, del DPR n. 600/73 percepiti da trust non esercenti attività d’impresa commerciale.

    3 LA “SEGREGAZIONE” PATRIMONIALE NEL FONDO PATRIMONIALE E NEL TRUST

    L’effetto di maggior rilievo che accomuna gli istituti del Trust e del Fondo patrimoniale è la “segregazione patrimoniale” che con essi si consegue.
    Il Fondo patrimoniale ed il Trust costituiscono in tal senso un’eccezione alla norma generale dell’ordinamento italiano di cui all’art. 2740 Cod. Civ., secondo cui ognuno risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
    3.1. Il vincolo di destinazione nel Fondo patrimoniale
    La disciplina del Fondo patrimoniale assume particolare interesse in quanto consente a chi lo costituisca di destinarvi beni che vengono “protetti” sotto un duplice punto di vista:
    • i titolari del Fondo non possono disporne in modo contrastante con le finalità “familiari” cui essi sono vincolati;
    • i creditori non possono aggredire i beni del Fondo per debiti che sapevano essere stati contratti per scopi estranei agli interessi della famiglia (art. 170 Cod. Civ.)
    Quanto al secondo punto, incombe in capo al creditore l’onere di accertarsi della rispondenza dell’atto ai “bisogni della famiglia” (nell’accezione vista al par. 1.2). L’atto compiuto congiuntamente dai coniugi non può essere di per sé stesso considerato finalizzato al soddisfacimento di bisogni familiari. In questo caso, l’onere della prova dell’estraneità verte tuttavia sui coniugi, sulla base del principio per cui al creditore non tocca mai provare una circostanza negativa.
    Nel caso di debiti contratti per finalità estranee all’interesse della famiglia (si pensi a debiti contratti nell’esercizio di attività d’impresa), il creditore non potrà rivalersi pertanto sui beni del Fondo.
    D’altro canto, la segregazione patrimoniale che caratterizza il patrimonio del Fondo costituisce garanzia per i soggetti che vantino crediti per atti derivanti dal soddisfacimento di bisogni familiari, essendo tali soggetti preferiti rispetto ai creditori personali dei coniugi nella escussione dei beni del Fondo[14].
    Con la riforma introdotta dal D.Lgs. 5/2006, la disciplina del diritto fallimentare si è allineata al dettato codicistico. L’art. 46, co. 1, n. 3 del R.D. 267/42 (nel testo in vigore dal 16 luglio 2006) dispone infatti che sono esclusi dalla massa fallimentare “i beni costituiti in Fondo patrimoniale ed i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’art. 170 del Codice civile”.
    Ricorrendone i presupposti, ai creditori è consentito il ricorso alla revocatoria civile (art. 2901 Cod. Civ.). Si rammenta che la giurisprudenza prevalente ritiene che la costituzione del Fondo patrimoniale sia atto a titolo gratuito. Accogliendo questa tesi, per il creditore potrebbe essere sufficiente, nel termine di prescrizione di 5 anni dalla data della costituzione del Fondo (art. 2903 Cod. Civ.), dimostrare il solo eventus damni, non anche il consilium fraudis.
    Sulla base della medesima interpretazione della costituzione del Fondo quale atto a titolo gratuito, la giurisprudenza[15], ai sensi dell’art. 64 R.D. 267/42, ha riconosciuto la possibilità di dichiarare l’inefficacia nei confronti dei creditori della costituzione del Fondo nei due anni precedenti il fallimento[16].

    3.2 L’effetto di segregazione nel Trust

     
    Come disposto dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja, la destinazione dei beni al Trust determina la “segregazione” degli stessi rispetto al restante patrimonio del disponente e del Trustee.
    Da ciò discende che i beni destinati al Trust:
    • non sono aggredibili dai creditori personali del settlor Trustee, né dei beneficiari;
    • non concorrono alla formazione della massa ereditaria del defunto in caso di morte del Trustee;
    • non rientrano in ogni caso nel regime patrimoniale legale della famiglia del Trustee;
    • non sono legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle predeterminate nell’atto istitutivo del Trust;
    • sono, di contro, aggredibili dai soli creditori del Trust stesso.
    Quanto alle tutele concesse ai creditori del disponente, si richiama quanto detto nel paragrafo precedente con riferimento all’esperibilità dell’azione revocatoria ex art. 2901 Cod. Civ. ed alla possibilità di dichiarare l’inefficacia del vincolo di destinazione ex 64 R.D. 267/42.

    3.3 Trust e fallimento
     

    Il Tribunale di Parma (Trib. Parma, 3 marzo 2005 in Riv. Notariato, 2005, 851 ss) ha omologato un concordato preventivo misto nel quale alla cessione dei beni da parte del debitore, si aggiungeva l’obbligo di terzi (familiari dell’amministratore della società istante) di cedere i propri beni.
    Il Tribunale ha omologato il concordato consentendo all’amministratore ed ai propri familiari, obbligatisi alla cessione dei beni a favore della procedura concorsuale, di istituire un trust con nomina del commissario giudiziale a trustee ed indicazione dello scopo perseguito, ovverosia la vendita dei beni ceduti e la destinazione del ricavato al soddisfacimento dei creditori in concordato.
    In ambito fallimentare va pure ricordata la decisione del Tribunale di Roma (Trib. Roma, sez. fallimentare, 4 aprile 2003, TAF, 2003 pag. 411) che ha autorizzato il curatore fallimentare a trasferire ad un trustee i crediti fiscali maturati nel corso della procedura affinché i trustee li esigano ed i crediti riscossi vengano distribuiti fra i creditori secondo le disposizioni del piano di riparto reso esecutivo dal Giudice delegato.

    CONCLUSIONI
    Il Fondo patrimoniale ed il Trust determinano, nella sostanza, i medesimi effetti patrimoniali, con la costituzione di un patrimonio segregato e destinato al perseguimento di una determinata finalità.
    Va tuttavia rimarcata la notevole duttilità dell’istituto di matrice anglosassone, che lo rende preferibile al Fondo patrimoniale anche nell’ambito della realtà familiare.
    Esso garantisce anzitutto una maggiore stabilità al vincolo di destinazione che determina la segregazione patrimoniale. Detto vincolo può essere infatti reso estraneo alle vicende sentimentali dei coniugi, talché la tutela patrimoniale non verrebbe meno al cessare degli effetti del matrimonio.
    Ciò determina astrattamente una maggiore garanzia di protezione dei beni, a tutela in particolare dei figli, spesso i veri beneficiari del Fondo patrimoniale. Mediante l’istituzione di un Trust, essi potrebbero essere inoltre posti nella condizione di esercitare un effettivo controllo sulla gestione dei beni, sostanzialmente precluso dalla disciplina del Fondo patrimoniale.
    I beneficiari del Trust sono inoltre pienamente legittimati ad agire nei confronti del tustee per fare valere i diritti loro derivanti dall’atto di destinazione.
    Si richiama da ultimo la recente interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria che, in ambito tributario, introduce un ulteriore elemento di differenziazione tra gli istituti del Trust e del Fondo patrimoniale. Nella Circolare 3/E del 22 gennaio 2008, l’Agenzia delle Entrate ha infatti affermato la sussistenza dei presupposti di applicazione dell’imposta di successione e donazione:
    • nel caso del Fondo patrimoniale, quando questo determini effetti traslativi, ovvero quando esso sia costituito “…con beni di un terzo…” o “…di proprietà di uno solo dei coniugi che non se ne riserva la proprietà”;
    • in ogni caso qualora sia costituito un Trust.
    [1] Si segnalano in tal senso: Cass. 27.11.87 n. 8824; Cass. 27.3.2001 n. 4422. La giurisprudenza prevalente ritiene infatti che la costituzione di un Fondo patrimoniale costituisca una convenzione matrimoniale.
    [2] Il potere di amministrazione prescinde dalla titolarità dei beni costituenti il fondo.
    [3] È in tal caso dubbio se, in presenza di minori, sia comunque necessaria l’autorizzazione del giudice (contra, Trib. Roma 27.06.1979).
    [4] Qualora atti estranei alla finalità propria del fondo siano posti in essere concordemente da entrambi coniugi, la dottrina propende per la spettanza del diritto di chiedere l’annullamento di tali atti a tutti i soggetti interessati al buon andamento della gestione del fondo.
    [5]La L. 364/89 è entrata in vigore il 1° gennaio 1992.
    [6]Consiglio Nazionale del Notariato, Studio approvato il 10.2.2006.
    [7]Si tratta di quei Trust i cui elementi soggettivi ed oggettivi essenziali siano riconducili al nostro Paese.
    [8]Trib. Bologna 18.04.2000; Trib. Bologna 16.06.2003. In senso contrario si richiamano: App. Napoli 27.05.04, sulla base di una presunta tassatività degli atti trascrivibili ai sensi degli artt. 2643 s.s. Cod. Civ., tra cui non sarebbe ricompreso il trust.
    [9] Lo scopo del Trust deve comunque essere possibile e lecito. Si rileva inoltre che, ai sensi dell’art. 15 della Convenzione, le disposizioni di un trust non devono configgere con le norme imperative in tema della protezione di minori e di incapaci, effetti personali e patrimoniali del matrimonio, testamenti e devoluzione dei beni successori, trasferimento di proprietà e garanzie reali, protezione di creditori in casi di insolvibilità, protezione dei terzi che agiscono in buona fede.
    [10] Per altro, l’individuazione dei beneficiari non è contemplata nei c.d. “trusts di scopo”. Si parla poi di “trust discrezionale” quando il beneficiario viene individuato in un momento successivo alla costituzione del trust.
    [11] L’art. 19 della Convenzione dell’Aja non pregiudica la “competenza degli Stati in materia fiscale”.
    [12]Ulteriori chiarimenti sono stati inoltre forniti dall’Amministrazione Finanziaria nelle seguenti risoluzioni: Risoluzione n. 278/E del 04.10.2007; Risoluzione n. 4/E del 04.01.2008, Risoluzione n. 425/E del 05.11.2008 e Risoluzione 110/E del 23.04.2009
    [13] I redditi imputati al beneficiario persona fisica sono stati qualificati come redditi di capitale. Infatti, la nuova lettera g-sexies) dell’articolo 44, primo comma, del Tuir (introdotta dal comma 75 dell’articolo 1 della Legge n. 269/2006) classifica tra redditi di capitale quelli imputati al beneficiario persona fisica di trust; qualora il beneficiario sia una persona giuridica tali redditi si considerano di impresa.
    [14] Qualora i beni del Fondo siano insufficienti al soddisfacimento del loro diritto, i creditori potranno rivalersi in via sussidiaria sui beni personali dei coniugi o sui beni facenti parte della comunione legale.
    [15] Cass. 28.11.1990 n. 11449 – Cass. 22.01.2010 n.1112
    [16] Salvo sia fornita prova che la costituzione del fondo sia avvenuta in adempimento di un dovere morale e che all’atto di costituzione i beni destinati al fondo fossero proporzionati al patrimonio di coniugi.
    Cf Studio
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